Chiapissone, in Concessione
Se a Genova il predecessore del moderno gioco del lotto era chiamato “Giuoco del Seminario”, a Torino le scommesse erano legate al “gioco delle zitelle”.
Dall´esame di un documento del 1674 si può verificare che Carlo Emanuele II concesse ad un tal Chiapissone la facoltà di “introdurre nello stato di Sua Altezza Reale un’estrazione da farsi ad imitazione di quelle di Genova e Milano”.
Le scommesse erano abbinate all´estrazione di cinque fortunate tra cento nomi di “povere figlie”.
Alle vincitrici veniva regalata una dote di cento lire da versare “al tempo de loro matrimoni, o occasioni di essere religiose”.
L’estrazione avveniva quattro volte l´anno. Interessante notare che la lista delle cento “candidate” era predisposta personalmente da Sua Altezza Reale.
Il gioco conobbe una certa fortuna tanto che venne addirittura “riesportato” a Genova, patria del gioco del lotto.
Nel 1735 risulta infatti che nella città della Lanterna venne richiesta l´autorizzazione a svolgere il “gioco delle zitelle”.
Successivamente il gioco delle zitelle prese piede anche a Napoli ed in molte altre parti della penisola. Tornando a Torino, vediamo come, a fianco degli iniziali scopi umanitari, anche il Governo piemontese non trascurò evidenti finalità fiscali.
La gestione del gioco venne infatti affidata in cambio di canoni di concessione sempre più alti. Di concessione in concessione il gioco prosperò sino al 1713 quando il duca Vittorio Amedeo II, “preferendo l´utilità dei sudditi a quelle delle nostre finanze” lo proibì, comminando pene corporali sia ai tenutari (due tratti di corda) che ai giocatori (un tratto). Fu necessario attendere sino al 1742 perché, sotto la spinta del debito pubblico, il gioco del lotto tornasse legale.
Il 17 luglio un certo Antonio Tedeschi ebbe in concessione la raccolta del gioco del “Seminario di Torino” per 114.002 lire annue. Fra il 1754 e il 1798 l´incasso globale ammontò a 18,9 milioni di lire e i proventi a 12,7 milioni con un rapporto dunque di due terzi di entrata netta.
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Torino: il Giuoco delle Zitelle Per Le Cause Sociali
In questo periodo furono autorizzate molte lotterie per le più svariate cause sociali: a favore di ospedali, ospizi, ordini di frati etc. e persino per cause riguardanti singoli individui (infortuni, indigenti, carcerati, etc.).
In generale i prezzi dei biglietti erano superiori a quelli del “lotto di seminario”, tanto da essere spesso inaccessibili al popolo Si giunse così ad una diversificazione di lotterie per classi.
Il governo incassava il 10% sul prezzo dei biglietti. Il gioco era così diffuso che in Piemonte si rese necessaria l´istituzione di un giudice speciale per giudicare le cause civili e criminali relative a questioni legate al lotto.
Successivamente il gioco continuò la sua progressiva espansione sino al 1802 quando il Piemonte cadde nella rete di Napoleone. Il lotto allora confluì nella “Lotteria Imperiale Francese.
Nel 1814, al ritorno in patria dei reali sabaudi, il gioco continuò come se nulla fosse accaduto passando sotto la Direzione Generale della Regia lotteria.
Una serie di importanti provvedimenti normativi (emananti nel 1816, nel 1820, nel 1838 e nel 1841) regolamentarono assai minuziosamente il gioco, fissando rigide regole contabili.
Ogni mese alla presenza del vicario e dei sindaci di Torino si effettuavano in pubblico due estrazioni.
Da ogni comune il sindaco chiedeva i registri e segnava l´ora della partenza del pedone che li portava a Torino e che doveva giungerci un giorno prima dell´estrazione, perché i registri fossero verificati e archiviati prima di provvedere all´estrazione. Fino al 1814 ai ricevitori del lotto fu riconosciuto l´aggio dell´8%, più tardi (1828) tale percentuale rimase all´8% per le prime 20.000 lire riscosse, scendendo progressivamente fino all´1% sulle riscossioni oltre le 200.000.
Le vincite erano pagabili entro 4 mesi, trascorsi i quali il diritto al premio decadeva. Le estrazioni rimasero quattro al mese: due sulla ruota di Torino e due facevano riferimento alle estrazioni di Genova.
Il numero di “banchi” fu dapprima stabilito in 216 ma in seguito fu regolato in base alla popolazione: un banco in comuni di almeno 3000 abitanti e uno ogni 4.000 nelle città.